Nel 2012, una nuova disposizione è stata inserita nel Codice civile, secondo cui le regolamentazioni condominiali non possono “proibire di avere o custodire animali domestici (art. 1138 c.c., ultimo comma). Molti hanno interpretato questa disposizione come una regola che richiede il consenso (un accordo formale) di tutti i condomini per impedire la presenza di animali domestici nelle abitazioni, poiché una tale proibizione limiterebbe il diritto di proprietà esclusiva.

L’assemblea condominiale può certamente stabilire delle linee guida comportamentali, che ogni condomino deve seguire per proteggere gli spazi comuni e mantenere un clima di convivenza civile tra i residenti. Tuttavia, non può proibire la presenza di animali domestici nelle abitazioni.

Proibizione di cani in condominio, cosa stabilisce la legge?

Infatti, il regolamento condominiale approvato in assemblea può regolare questioni che riguardano le parti comuni dell’edificio, ma non può interferire con la proprietà privata. È necessario l’accordo di tutti i condomini per introdurre una proibizione di possedere animali domestici nelle abitazioni: quindi, sarebbe possibile proibire la presenza di cani negli appartamenti condominiali, ma solo con clausole “contrattuali” inserite nel regolamento condominiale e accettate da tutti.

Tuttavia, non tutti i giudici concordano con questa interpretazione.

Molti sostengono che l’art. 1138 del codice civile è stato creato per proteggere il diritto di tutti a possedere animali domestici nelle proprie abitazioni; quindi, non è mai permesso introdurre divieti assoluti di possedere cani e gatti nelle case.

Questa è l’interpretazione della Corte d’appello di Bologna, che ha affrontato questa questione con la recente sentenza n. 766 del 17 aprile 2024.

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Il caso

Nel caso in questione, un condominio aveva citato in giudizio un altro condominio, che aveva in casa due cani di grande taglia, in violazione del regolamento condominiale (stabilito contrattualmente e debitamente registrato), che proibiva “in modo assoluto e categorico […] di possedere cani e gatti o altri animali negli appartamenti o in qualsiasi altro locale dell’edificio privato o comune“.

Il proprietario dei cani, pur ammettendo i fatti, riteneva di avere il diritto di possedere i cani sulla base dell’art. 1138 del codice civile. I giudici hanno sostenuto la sua posizione.


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Diritto indisponibile

Secondo la Corte d’appello, deve essere riconosciuto al rapporto uomo-animale domestico un valore giuridico da proteggere, che trova fondamento nell’articolo 2 della Costituzione. Basandosi su questa importante norma costituzionale, è possibile affermare un vero e proprio diritto alla relazione affettiva uomo-animale domestico.

Ora, secondo i giudici, l’art. 1138 c.c., nella parte in cui vieta di introdurre divieti di possesso di animali in condominio, si riferisce proprio a questo diritto “di nuova generazione” che trova fondamento nella Costituzione: il diritto di possedere animali domestici nelle abitazioni non può mai essere limitato o escluso da un regolamento condominiale, neanche se la proibizione di possesso di animali è stata concordata e accettata da tutti i condomini.

In altre parole: il diritto alla relazione affettiva uomo-animale prevale sempre su eventuali clausole del regolamento condominiale che vietano la detenzione di animali domestici.

Secondo i giudici bolognesi, il problema non risiede nel capire se il divieto sia stato o meno accettato da tutti i condomini. La clausola regolamentare che proibisce la detenzione di animali sarebbe di per sé illegale, in quanto viola il diritto indisponibile di ogni singolo condomino a possedere un animale domestico nelle proprie abitazioni. Una decisione interessante, che sicuramente susciterà molte discussioni.

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