Inflazione stabile in Eurozona a luglio: sogni di tagli tassi BCE si allontanano!

L’inflazione si mantiene al 2% in luglio nell’area dell’Euro, rendendo meno probabile un abbassamento dei tassi di interesse da parte della BCE in settembre.

Venerdì, Eurostat ha diffuso i nuovi dati riguardanti l’inflazione di luglio per la zona euro. L’incremento dei prezzi al consumo armonizzati, secondo l’indice HICP, è stato del 2% su base annua, identico a quello di giugno. Le previsioni degli analisti erano per una leggera diminuzione all’1,9%. Analizzando i dettagli, i prezzi nel settore dei servizi sono cresciuti del 3,1%, un decremento rispetto al 3,3% precedente, mentre i prezzi dei beni sono aumentati, passando dal 3,1% al 3,3%. L’inflazione “core”, escludendo energia e alimenti freschi, è rimasta stabile al 2,3%.

Allontanamento di un possibile taglio dei tassi

L’inflazione armonizzata è diminuita all’1,7% in Italia e all’1,8% in Germania, mentre è salita al 2,7% in Francia e rimasta invariata allo 0,9% in Francia. Questi risultati indicano che la Banca Centrale Europea (BCE) sta raggiungendo con successo l’obiettivo del 2%, ma rendono meno imminente la prospettiva di un nuovo taglio dei tassi di interesse a settembre. A luglio, la BCE si è fermata per la prima volta dopo un anno, mantenendo i tassi sui depositi bancari al 2%.

In precedenza, all’inizio di giugno dell’anno scorso, i tassi erano stati elevati al 4%.

Una giustificazione per una ripresa dei tagli da parte di Francoforte arriverebbe solo con una diminuzione dell’inflazione nella zona euro al di sotto dei livelli di luglio. Il cambio euro-dollaro ha recentemente mostrato un indebolimento, scendendo a poco più di 1,14 da quasi 1,18. Se questa tendenza dovesse continuare, gli effetti sui prezzi al consumo nell’area potrebbero essere inflazionistici. Pertanto, al momento non sembrano esserci le condizioni per un imminente nono taglio dei tassi dopo l’estate.

Molti stati ancora sopra il target della BCE

Il mercato prevede che ciò potrebbe avvenire tra la fine dell’anno corrente e l’inizio del prossimo. E i dati di luglio sull’inflazione supportano questa ipotesi anche per altri motivi.

Il 2% rappresenta la media di crescita dei prezzi nell’area, con una notevole variazione tra i paesi. Quattordici dei venti stati hanno registrato tassi d’inflazione superiori, lo stesso numero di giugno: Belgio (2,6%), Estonia (5,6%), Grecia (3,7%), Spagna (2,7%), Croazia (4,5%), Lettonia (3,9%), Lituania (3,5%), Lussemburgo (2,6%), Malta (2,5%), Olanda (2,5%), Austria (3,6%), Portogallo (2,5%), Slovenia (2,9%) e Slovacchia (4,5%).

L’inflazione era inferiore al 2% in soli cinque stati: Germania (1,8%), Francia (0,9%), Italia (1,7%), Cipro (0,1%) e Irlanda (1,6%). Il fatto che il 70% degli stati membri presenti ancora problemi d’inflazione e che sette di questi registrino tassi superiori al 3%, è un segnale “hawkish” per il mercato. Quando i loro rappresentanti dei banchi centrali parteciperanno alle prossime riunioni, è improbabile che sosterranno un taglio dei tassi. Anche la Bundesbank, che ha un’influenza politica significativa nell’area, sembra esitante a questo riguardo.

Un segnale “hawkish” dall’inflazione di luglio

Chi comprende il funzionamento delle banche centrali, in particolare della BCE, sa che le decisioni vengono prese con ampio consenso, se non all’unanimità. I voti contrari devono essere minimi per evitare di trasmettere segnali incerti ai mercati. Questo vale ancor più per Francoforte, dove ogni voto rappresenta uno stato membro. È vero che fino a giugno i tagli sono stati approvati nonostante molti stati avessero tassi d’inflazione superiori alla media.

Tuttavia, ora la situazione è diversa. L’inflazione di giugno e luglio ha raggiunto il target e i tassi sui depositi bancari. In termini tecnici, la politica monetaria non è più considerata restrittiva.

Un ulteriore taglio, con questi numeri, porterebbe a tassi reali negativi. La politica monetaria diventerebbe espansiva, il che potrebbe avere effetti negativi sull’inflazione, che potrebbe risalire. Ecco perché, dopo luglio, saranno necessari dati sull’inflazione più bassi per giustificare un allentamento. A meno che le tensioni commerciali con gli Stati Uniti non inducano i governi della zona euro a esercitare una pressione non ufficiale sulla BCE per deprezzare la moneta e neutralizzare così i dazi imposti da Trump.

 

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