Mentre in Occidente si discute ancora sull’effettiva praticabilità della transizione elettrica, i costruttori cinesi si muovono con pragmatismo, puntando su una tecnologia ibrida che promette di colmare il divario tra combustione interna ed elettrico puro. La chiave di volta? I modelli EREV (Extended Range Electric Vehicle), veicoli elettrici dotati di un prolungatore d’autonomia a benzina, che permettono percorrenze superiori a 1.000 chilometri.
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Cos’è un EREV e perché piace ai cinesi
Questi veicoli, come i recenti SUV Yangwang U8 o Exeed ET, funzionano in modalità 100% elettrica, ma integrano un piccolo generatore termico a benzina. Questo motore non alimenta direttamente le ruote, ma entra in funzione solo per ricaricare la batteria quando l’energia si esaurisce, garantendo così un’autonomia estesa anche in assenza di infrastrutture di ricarica.
Il compromesso? Emissioni di gas serra più basse rispetto a un’auto tradizionale, ma pur sempre presenti. Eppure, nel 2024, secondo McKinsey, questa tecnologia ha registrato in Cina la crescita più rapida tra tutte le motorizzazioni, superando 1 milione di unità vendute e raggiungendo il 6% del mercato (contro il 28% delle full electric).
Espansione globale: la Cina guarda all’Europa e agli USA
I primi segnali di esportazione sono già visibili. Leapmotor, partner cinese di Stellantis, ha lanciato in Europa il SUV C10, mentre negli Stati Uniti lo stesso gruppo prevede una versione EREV del Ram 1500, uno dei suoi pickup più popolari.
Anche Volkswagen, con la sua divisione americana Scout, ha annunciato un pickup EREV per il mercato nordamericano. E al Salone di Shanghai ha presentato un grande SUV con prolungatore d’autonomia, pensato per la sua controffensiva commerciale in Cina.
Nel frattempo, Horse, la joint venture tra Renault e Geely, ha mostrato un nuovo motore a benzina compatibile con piattaforme elettriche, segnale ulteriore della strategia ibrida flessibile che molti costruttori europei stanno abbracciando.
EREV: un’opzione di transizione per mercati ancora riluttanti
Nonostante gli investimenti sull’elettrico, la domanda dei consumatori in Europa e negli USA rimane prudente. I modelli EREV sembrano quindi rappresentare una soluzione ponte credibile, in grado di:
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Ridurre l’ansia da autonomia
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Abbassare i costi d’ingresso rispetto a un’auto elettrica pura (fino a 3.000 dollari in meno)
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Offrire prestazioni adatte a usi intensivi (come il traino di rimorchi o barche)
Secondo un sondaggio McKinsey, un europeo o americano su quattro prenderebbe in considerazione un EREV, una volta compreso il funzionamento della tecnologia.
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Europa: tra obiettivi ambiziosi e dubbi industriali
La vera incognita resta la regolamentazione europea. Il blocco delle vendite di motori a combustione dal 2035 rappresenta un limite alla diffusione dei range extender. Tuttavia, alcuni Paesi come la Germania stanno spingendo per eccezioni per tecnologie ibride avanzate, considerate meno impattanti sul piano ambientale.
Il problema è industriale: “Chi investirebbe oggi in fabbriche di range extender in Europa, sapendo che tra 11 anni potrebbero essere fuori legge?”, si chiede Holger Klein, CEO dell’azienda tedesca ZF, specializzata in sistemi di trazione. Una domanda legittima, che pone la necessità di decisioni politiche rapide e coerenti.
Conclusione: una strategia pragmatica in attesa della svolta elettrica
La scelta della Cina di puntare sui veicoli EREV per l’export riflette una visione pragmatica e adattiva del mercato globale. In un contesto dove le reti di ricarica sono ancora insufficienti e le batterie ad alta densità costano troppo, il motore a benzina come supporto temporaneo all’elettrico può rivelarsi una soluzione efficace per accelerare l’adozione della mobilità sostenibile, senza costringere i consumatori a compromessi troppo rigidi.
In attesa che la tecnologia delle batterie raggiunga autonomamente i 1.000 chilometri promessi, i range extender potrebbero rappresentare un alleato strategico nella transizione, specialmente nei mercati meno maturi dal punto di vista infrastrutturale. E i costruttori cinesi sembrano i più pronti a capitalizzare questa finestra di opportunità.
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